L’Atalanta è da sempre un vivaio di talenti, un luogo dove i sogni calcistici prendono forma e dove i giovani atleti non solo affinano le proprie capacità tecniche, ma crescono anche come persone. La storia di Giampaolo Pazzini, ex attaccante nerazzurro, è un esempio lampante di come il percorso formativo bergamasco abbia inciso profondamente sulla sua carriera e sulla sua vita, come da lui stesso raccontato.
Gli inizi di Pazzini
Il viaggio di Pazzini nel mondo del calcio ha avuto inizio lontano da Bergamo, in una piccola società di Pistoia, il Margine Coperta. Fu a 14 anni, dopo aver completato la terza media, che il giovane Giampaolo approdò all’Atalanta, un passo decisivo che lo avrebbe proiettato verso il professionismo. Già a 16 anni, il suo talento non passò inosservato, tanto da attirare l’interesse del Monaco, un’offerta che Pazzini scelse di rifiutare, preferendo proseguire la sua crescita nel contesto che lo stava plasmando.
La svolta
Il momento di svolta, quello che ha segnato in modo indelebile la sua consapevolezza professionale, arrivò nel 2003. A 19 anni, Pazzini fu protagonista del trionfo dell’Italia nell’Europeo Under 19, disputato in Liechtenstein. Fu proprio in quella finale, contro il Portogallo, che il suo gol non solo contribuì alla vittoria, ma gli fece capire con chiarezza che il calcio sarebbe stato il suo unico percorso, senza alcun piano B.
La figura di Favini
Fondamentale in questo percorso fu la figura di Mino Favini, un vero e proprio maestro per i giovani atleti dell’Atalanta con 24 stagioni in nerazzurro tra campo e dirigenza. Favini non si limitava a insegnare il calcio, ma si preoccupava della formazione umana dei ragazzi, trasmettendo valori che andavano oltre il campo da gioco. Le sue parole, “Non so se diventerete calciatori, ma di sicuro sarete uomini”, risuonano ancora oggi come un monito e un insegnamento prezioso, testimoniando l’impronta indelebile lasciata da un uomo che ha contribuito a forgiare non solo calciatori, ma individui integri.