Sognare si poteva. Ha ragione Josip Ilicic. La lunga intervista concessa dal fuoriclasse sloveno a La Gazzetta dello Sport ha fatto ripensare ai tifosi atalantini una delle più affascinanti avventure europee di sempre, quella della Dea nell’anno del Covid. Una stagione surreale, come ricordano tutti: il campionato sospeso a inizio marzo e improvvisamente ripreso con partite ogni tre giorni da fine giugno a fine luglio. Poi la Champions, tutta d’un fiato e con partite in gara secca. I nerazzurri avevano ampiamente fatto il loro massacrando il Valencia agli ottavi, con lo storico poker di Ilicic al Mestalla: “Ero in uno stato di forma mai visto e non avevamo paura di nessuno”.
Neanche del Paris Saint-Germain, incontrato ai quarti. Era una squadra stellare, quella di Mbappé, Neymar, Icardi e tutti gli altri. Ma ha ragione lo sloveno, l’Atalanta del Gasp era meravigliosamente sfrontata. Al punto da portarsi in vantaggio alla mezzora con l’arcobaleno di Pasalic e sfiorare in più di un’occasione il raddoppio. Implorando poi il cronometro di correre più veloce, per arginare senza sussulti anche il lungo recupero. E invece Marquinhos e Choupo-Moting spensero la luce all’improvviso sui sogni della Dea. Due gol nel recupero, dopo il 90′. Due coltellate alla pazza gioia che a Bergamo, la città più martoriata dal Covid, si sarebbe potuta scatenare. Il Psg ottenne il passaggio in semifinale, dove superò senza problemi il Lipsia. In finale però si inchinò al super Bayern di Lewandowski.
“In molti mi dicono: ‘Ma se non fosse successo ciò che è successo, il Covid, la depressione e tutto, dove saresti arrivato?’. Non lo so, ma saremmo arrivati in finale di Champions”. Ha ragione lo sloveno: l’Atalanta era veramente arrivata a un centimetro dal Paradiso.




